Cecco Angiolieri e la comicità del Duecento
Cecco Angiolieri e la comicità del Duecento

Cecco Angiolieri e la comicità del Duecento

Cecco Angiolieri – Photo by Kiwihug on Unsplash

Cecco Angiolieri è un poeta il cui nome passa spesso sotto silenzio. I motivi possono essere vari: la sua vita sregolata, la sua poesia lontana dall’aulicità degli altri generi. Le sue poesie, però, sono particolarmente interessanti, perché ci mostrano un nuovo volto della letteratura; un volto decisamente diverso da quello a cui siamo abituati.

Lo stile di Cecco: la poesia comico-realistica

Gli studiosi hanno definito come comico-realistica la poesia di Cecco. Si tratta di un genere che rifiuta tutti i canoni della letteratura dell’epoca. Nel Duecento, d’altronde, godeva di grande fama la lirica d’amore. A dominare la scena italiana erano poeti del calibro di Guinizzelli, Cavalcanti, lo stesso Dante. Tutti costoro si contraddistinguevano per una lirica particolarmente alta, di stile elegante ed estremamente melodioso.

Cecco rifiuta tutto questo. Come lui, i poeti comico-realistici adottano invece uno stile basso. Via libera, dunque, alle invettive, con termini propri della quotidianità. A fronte di un poeta come Dante, che faceva dell’aulicità il suo tratto caratteristico, la poesia di Cecco si offriva a una più ampia circolazione. Tutta la produzione stilnovistica, d’altronde, era pensata per una diffusione nei circoli intellettuali: il popolo comune era ben lontano dai temi d’amore e di gloria letteraria che perseguivano gli autori fiorentini.

Proprio per questo, all’epoca, Cecco dovette godere di una fama piuttosto diffusa. La sua poesia, d’altronde, si concentrava sui semplici problemi quotidiani. Nei suoi versi egli lamenta la fame e la mancanza di denaro; ma si profonde anche nella lode del vino e nelle critiche misogine.

Cecco Angiolieri aveva davvero una vita sregolata?

La tradizione ci lascia un’immagine un po’ degradata di Cecco. Egli viene spesso dipinto come un uomo sregolato, dedito al gioco, all’alcol e alle donne. Sarebbe sbagliato, però, procedere con un’analogia tra la poesia di un autore e la sua vita privata. Cecco, d’altronde, si dedica a un genere preciso. Egli sceglie il suo campo d’indagine, ma ciò non significa che i temi trattati coincidessero effettivamente con il suo privato.

Certo, non si può escludere che Cecco abbia effettivamente sperimentato ciò di cui parla. Questo, però, non vuol dire che egli fosse un autentico “poeta maledetto”, al pari di autori come Rimbaud o Baudelaire.

Cecco Angiolieri si limita semplicemente a sperimentare un genere nuovo. La sua è tutt’altro che una mossa istintiva. A fronte di un panorama in cui dominava la lirica aulica, la sua scelta di dedicarsi a uno stile più basso è un’azzeccata mossa pubblicitaria.

La satira di Cecco Angiolieri: S’i’ fosse fuoco

Riproponiamo il sonetto più celebre di Cecco. Per comprendere davvero un poeta, d’altronde, bisogna partire sempre dalle sue parole.

S’i’ fosse fuoco, arderei ‘l mondo;
S’i’ fosse vento, lo tempestarei;
S’i’ fosse acqua, i’ l’annegherei;
S’i’ fosse Dio, mandereil’en profondo;

S’i’ fosse papa, allor serei giocondo, che tutti cristiani imbrigarei;
S’i’ fosse ‘imperator, ben lo farei;
A tutti tagliarei lo capo a tondo;

S’i’ fosse morte, andarei a mi’ padre;
S’i’ fosse vita, non starei con lui:
Similmente faria da mi’ madre.

S’i’ fosse Cecco, com’i’ sono e fui,
Torrei le donne giovani e leggiadre:
le zoppe e vecchie lasserei altrui.

A noi le parole di Cecco possono sembrare non particolarmente divertenti. La comicità, però, ha sempre un legame molto forte con il suo contesto storico e sociale. Le commedie greche, oggi, non ci fanno ridere, perché spesso fanno riferimenti a politici e personaggi che noi conosciamo ben poco. Allo stesso modo, se un comico come Maurizio Crozza tenesse uno spettacolo nel 2322, nessuno riderebbe alle sue battute: questo perché, nei suoi monologhi satirici, egli si riferisce a figure politiche che sono note ora, ma che nel futuro non lo saranno più, o almeno non così tanto.

Già da questo piccolo dettaglio capiamo il motivo del successo che Cecco ebbe nel Duecento. La sua era una poesia viva, quotidiana, che colpiva gli ascoltatori proprio nella loro intimità. Il riferimento al papa e all’imperatore, per esempio, doveva destare grande ilarità. Cecco, semplicemente, non è altro che un comico satirico; appartiene a un’altra epoca, ma il suo ruolo non era così distante da quello di molti comici del nostro tempo!

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