Perché studiare i classici?
Perché studiare i classici?

Perché studiare i classici?

Photo by J. Kelly Brito on Unsplash

Perché studiare i classici? Questa domanda è quella che forse viene più spesso rivolta a chi, come noi, è appassionato di ciò che è stato. Una domanda che, purtroppo, fin troppo spesso resta priva di una risposta e spinge ad accantonare il patrimonio di parole, pensieri e cultura che la nostra società ha costruito nel corso dei secoli. Eppure, proprio in una situazione di profonda tristezza come quella in cui ci troviamo, ho avuto modo di apprezzare ancor di più il percorso che ho deciso di intraprendere.

Solitamente, nelle narrazioni mitiche del passato non troviamo altro che delle appassionanti vicende eroiche, concluse nel lontano tempo in cui esse furono compiute. Io stessa le ho sempre considerate in questo modo. Spesso ci si tende a profondere in celebrazioni delle epopee di chi, nel passato, ha ricorso alla forza per imporsi sugli altri. Eppure, studiare i classici significa maturare la propria personalità e peculiarità e cercare di comprendere valori universali che, pur essendo stati proposti secoli or sono, ancora oggi sono messi in discussione.

Il dramma della guerra in Omero

Personalmente, io leggo e rileggo le vicende degli eroi omerici da quando avevo pressappoco quattro anni. Eppure, solo a vent’anni ho avuto modo di scoprire come, nei versi così lontani di un poeta forse mai esistito, si celi una lucida rappresentazione dell’uomo. Questa rappresentazione non esclude nulla, ma anzi, a ogni rilettura, mostra una nuova sfaccettatura dell’animo umano e dei drammi che si nascondono dietro ogni epopea eroica.

Qual è il prezzo della gloria per gli eroi?

È per questo che, anche nel racconto di una tra le più celebri guerre di tutti i tempi, Omero mostra come ogni eroe, alla fine, risulti un vinto. È un vinto Ettore, costretto a salutare la moglie e il figlio in fasce, per andare a combattere una guerra che non sente come sua, ma cui partecipa per difendere la città di cui si dice figlio. Così, nel vedere la moglie in lacrime, l’eroe le carezza dolcemente il viso e la invita ad andare a casa. Andromaca ubbidisce ma, incapace di allontanarsi dal marito, continua a voltarsi verso di lui; lo fa non per contemplare la gloria di un soldato, ma per guardare ancora una volta l’uomo che ama.

È un vinto anche Achille: egli si reca a Troia alla ricerca della gloria, ma per ottenerla perde il fedele amico, l’amato, il compagno. Egli si dispera e non vuole abbandonare il corpo esanime di Patroclo. Mentre i soldati mangiano, preparandosi alla battaglia, piange e digiuna, vivendo solo nell’attesa di poter vendicare la morte dell’amico. Eppure, una volta ucciso Ettore, egli smentisce i suoi duri propositi in virtù della compassione che prova per Priamo: un vecchio, claudicante padre, che si reca da solo a supplicare il nemico di poter onorare il figlio di una sepoltura, senza lasciarlo preda di avvoltoi e animali selvaggi.

Nell’epopea omerica e nel suo seguito mitico, ogni singolo uomo ha da pagare un prezzo per la sua intraprendenza. Anche Agamennone, vincitore della guerra. Per poter salpare verso Troia, è costretto a sacrificare la propria stessa figlia, Ifigenia. È forse così alto il prezzo da pagare per la gloria? Per non parlare di Ulisse, costretto a un viaggio lungo dieci anni per poter tornare in patria. Quale guerra, quale gloria può meritare una così lunga lontananza dai propri affetti?

La ricchezza derivata dallo studiare i classici

Ogni singolo episodio del passato, ogni racconto, ogni evento dimostrano come, in fondo, le risposte alle domande che ci stiamo ponendo in questi giorni siano presenti già nella riflessione degli antichi. Così, la storia dimostra come anche il più ambizioso progetto di egemonia universale, come sembrava essere quello romano, sia destinato a fallire. E il fallimento è insito già nel principio stesso di egemonia: l’impero romano crollò perché nessun uomo, nessun esercito è in grado di sostenere un peso tanto grande. L’uomo, d’altronde, è percorso sempre dalle medesime passioni e desideri; ricerca sempre, comunque, una vita felice. Così, ogni soldato, nel suo rincorrere una gloria fatiscente, è costretto a pagare un prezzo inaccettabile.

In giorni come i nostri, trovo la risposta a questa fatidica domanda: perché studiare i classici? Nelle parole di Omero, di Virgilio, ma anche nell’alternarsi delle opere storiche, è espressa in nuce tutta l’umanità stessa. È ribadita in maniera estremamente dura e polemica l’inutilità della guerra, che non fa altro se non lacerare l’animo umano e spezzare gli stessi legami che ci uniscono all’anima degli altri. Gli avvenimenti di questi giorni, però, dimostrano come, purtroppo, tali concetti non ci siano ancora del tutto chiari, perché troppo spesso abbandonati in un cassetto e considerati come “arcaici”, “inutili” per la vita dell’uomo nel 2020. Eppure, il continuare ad approfondirli, più e più volte, mantiene viva la speranza che un giorno, finalmente, ci sia possibile comprendere e rispettare la natura dell’uomo, la quale è tanto debole quanto preziosa e meravigliosa.

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