Cesare e la sua incoronazione
Cesare e la sua incoronazione

Cesare e la sua incoronazione

Cesare – Photo by Ilona Frey on Unsplash

Ciò che spinse i senatori di Roma a uccidere Giulio Cesare fu, come è noto, il timore di una sua possibile ambizione monarchica. La loro paura non sembra essere così infondata: una serie di episodi, infatti, avevano fatto nascere il sospetto che a Cesare, tutto sommato, l’appellativo di re non dispiaceva affatto.

L’odio atavico verso la monarchia

La forte tradizione repubblicana guardava con stizza un atteggiamento come quello di Cesare. Il periodo monarchico di Roma (753 a.C.-509 a.C.), si sa, era terminato in maniera decisamente brusca. Secondo la leggenda, la causa di questa conclusione fu il figlio dell’ultimo re di Roma, Tarquinio il Superbo. Sesto (questo il nome del figlio), abbagliato dal potere a lui conferito dalla sua posizione, stuprò una matrona romana. Parliamo di Lucrezia, in particolare, che era moglie di un pezzo grosso della nobiltà romana: Lucio Tarquinio Collatino. La donna si suicidò, travolta dalla disperazione e dalla vergogna.

Una serie di elementi hanno fatto sospettare della veridicità del racconto. In ogni caso, l’affermazione della tradizione di parte senatoria determinò un odio atavico nei confronti dell’idea di monarchia. Catone il Censore, abile politico e storiografo, è un illustre esponente di questa mentalità: nella sua opera storica, giunge addirittura ad eliminare i nomi dei protagonisti delle vicende narrate. Con il riferirsi a semplici “comandanti delle truppe” o “consoli”, infatti, voleva evitare qualsiasi riferimento a motivi di gloria personale.

Ma torniamo a Cesare: dopo la vittoria nella guerra civile contro Pompeo, egli si affermò come suprema autorità a Roma. Un’autorità che, inizialmente, gli era riconosciuta solo dal popolo. Solo in un secondo momento, il senato decise di conferirgli una serie di onori e privilegi senza precedenti. Mai nessuno, nella storia della repubblica, aveva acquisito un potere tanto grande. Questo stesso potere si rivelò, però, un’arma a doppio taglio: pochi mesi dopo la sua ascesa, infatti, Cesare si ritrovò vittima di una congiura. I suoi assassini giustificarono la loro azione omicida facendo leva proprio sull’eccessiva autorità del dittatore.

L’episodio dei Lupercalia

Uno dei motivi scatenanti la congiura fu ciò che accadde il 15 febbraio del 44 a.C., esattamente un mese prima della tragica morte di Cesare. A Roma si stava tenendo una festa che univa il ricordo del mito di Roma a un rito per la fertilità femminile: i Lupercalia. Nel corso di questa celebrazione, i luperci, membri di un collegio sacerdotale dedicato proprio a questo culto, correvano per Roma nudi. Durante il percorso, questi uomini colpivano con delle fruste le donne che incontravano; secondo l’ideologia religiosa tradizionale, questa usanza favoriva la fecondità di tali donne.

In quest’occasione, Cesare si mostrò in pubblico. Lo fa nei panni di un vero e proprio re: Cassio Dione, storico del II d.C., ce lo descrive seduto su un trono d’oro, vestito di porpora e con una corona in testa. Presenziava alla cerimonia anche Marco Antonio, luperco, nonché console assieme a Cesare. Egli, in quest’occasione, si rese responsabile di un atto sconsiderato agli occhi di tutti i senatori presenti. Cercò, infatti, di porre in testa a Cesare un diadema, sostenendo che fosse la volontà popolare a indurlo a una simile azione. Il dittatore rifiutò la corona, consigliando piuttosto di offrirla a Giove, perché solo lui è re dei romani. La sua risposta, però, non convince del tutto i senatori:

Egli fu sospettato di avere preparato la cosa e che egli veramente desiderasse il nome di re, ma che voleva essere quasi costretto ad assumerlo e per questo fu odiato ancora più profondamente.

Il sospetto sulle ambizioni monarchiche di Cesare

Nonostante Cesare avesse rifiutato il diadema a lui offerto da Antonio, i senatori non erano rimasti per nulla sereni a seguito di questo episodio. Si iniziò a vociferare addirittura che, in realtà, Cesare e Antonio erano d’accordo per l’incoronazione; la mancata partecipazione del popolo, però, avrebbe indotto il dittatore a tornare sui suoi passi, per mostrarsi disinteressato rispetto a un eventuale ruolo monarchico.

Cicerone, nelle sue celebre orazioni contro Antonio (le Filippiche), addossa proprio a lui tutta la responsabilità di quanto accaduto a Cesare. Il suo tentativo, infatti, avrebbe scandalizzato il popolo, oltre che i baldi senatori difensori della libertà repubblicana:

Tu, tu, lo hai ucciso ai Lupercali!

Certamente, questo episodio rappresenta la goccia che fece traboccare il vaso. I senatori, già ostili a Cesare per la sua politica individualistica, colsero al balzo l’opportunità per accusarlo: il gesto di Antonio, a loro dire, testimoniava chiaramente come il dittatore avesse ben altre aspirazioni. Secondo Svetonio, si cominciò a temere addirittura che egli volesse spostare la capitale della repubblica ad Alessandria o a Troia. Cosa, questa, che era assolutamente inconcepibile per un popolo romano che si riteneva infinitamente superiore rispetto ai volubili orientali.

L’episodio dei Lupercali, dunque, si può dire che firmò la condanna a morte di Cesare. I senatori aspettavano già da tempo un passo falso per poter giustificare il loro proposito omicida. D’altro canto, lo stesso Cesare sottovalutò i suoi avversari: forte del consenso popolare, non si aspettava certo una reazione come quella che dovette affrontare e pagare con la morte. Certo è anche che l’azione dei cesaricidi, di fatto, non fece altro che rafforzare le ambizioni di Cesare, anche se diversamente da quanto ci si sarebbe aspettato. Egli non fu re, in vita, ma fu proclamato dio, dopo la morte, grazie al suo erede e successore: Ottaviano.

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