Dedalo e il dramma di un padre
Dedalo e il dramma di un padre

Dedalo e il dramma di un padre

Dedalo e il dramma di un padre – Photo by Rafael Garcin on Unsplash

Il mito di Dedalo e Icaro è tra i più conosciuti nella mitologia greca. Proprio per questo, spesso rientra nel patrimonio di favole che ogni bambino conserva con affetto nella sua immaginazione. Dietro la fantasia, però, il mito nasconde un dramma che, a un’analisi approfondita, appare in tutta la sua tragicità. Con Dedalo, si impone alla nostra attenzione il legame tra padre e figlio. Qui, in particolare, abbiamo un padre che cerca di proteggere il suo unigenito; Icaro, però, come ogni figlio, fatica ad ascoltare il padre. La causa della sua disobbedienza sarà una terribile morte, proprio davanti agli occhi disperati del genitore.

La vicenda di Dedalo e Icaro, dagli inizi alla tragica conclusione

Dedalo era un abile scultore che risiedette per lungo tempo alla corte di Minosse. Qui, in particolare, realizzò la vacca di legno in cui si nascose Pasifae, la moglie del sovrano, per potersi unire con un toro di cui si era invaghita. Sono molte le possibili motivazioni che ci vengono offerte, a proposito di questo “amore” che travolge la donna. Alcuni parlano dell’ira di Afrodite, causata dal mancato adempimento ai sacrifici prescritti. Altri ancora, invece, ne attribuiscono la responsabilità a Poseidone, adirato con Minosse che non aveva immolato in suo onore un toro.

In ogni caso, il frutto di quest’unione è la tremenda creatura, per metà uomo e per metà toro: il Minotauro. L’orrendo mostro fu rinchiuso da re Minosse in un labirinto. Ecco tornare in gioco, qui, Dedalo: l’artista realizza proprio il labirinto in cui imprigionare il figlio della regina. Il re cretese, per evitare che esistesse qualcuno a conoscenza della struttura reale del labirinto, costringe Dedalo e il figlio all’interno dello stesso.

Lo scultore, per salvarsi, realizza per sé e per Icaro delle vere e proprie ali, grazie ad alcune piume d’uccello. Nel momento della partenza, si raccomanda con il giovane figlio di non volare troppo in alto, onde evitare che il sole sciolga la cera con cui erano state fissate le piume. Icaro, però, accecato dal senso di onnipotenza che gli conferivano quelle ali, si avvicina troppo al sole, determinando così la sua stessa morte.

Il dolore di un padre sulle porte di un tempio

Dedalo, con il cuore spezzato a causa della sua perdita, arriva comunque in Italia. Qui egli si guadagna da vivere proseguendo la sua attività di scultore e artista. A descriverci una delle sue opere successive è Virgilio. Nel VI libro dell’Eneide, infatti, Enea arriva al tempio di Apollo, a Cuma. Fu proprio Dedalo, secondo le parole di Virgilio, a fondare il luogo sacro e a dedicarlo ad Apollo. Egli decorò anche le porte con alcune vicende della mitologia greca; nel farlo, egli non tralascia nemmeno la sua stessa storia.

Qui l’inumana passione per il toro, e Pasifae a lui sottoposta / di furto, e la generazione ibrida e la prole biforme, / il Minotauro, è presente, testimone di perversioni veneree; / qui l’ingegnoso disegno del palazzo e l’inestricabile girovagare/ ma pure, mosso a pietà dal grande amore della principessa, Dedalo stesso risolse i tortuosi inganni dell’edificio / guidando con un filo il cieco cammino. Anche tu gran parte, / Icaro, avresti in così bel lavoro, lo consentisse il dolore. / Due volte aveva tentato di effigiare nell’oro la sua caduta, / due volte caddero le paterne mani.

Una premessa dovuta è legata al fatto che solo Virgilio ci parla della presenza di Dedalo a Cuma; secondo il resto della tradizione, infatti, l’artista si sarebbe fermato in Sicilia. In ogni caso, l’autore epico rende in maniera estremamente drammatica il dolore di Dedalo. Egli, in un’opera finalizzata alla lode del dio e all’elogio della sua perizia artistica, non può esimersi dal trasmettere la grande sofferenza che lo attanaglia.

Dedalo e i troiani: una simile storia di sofferenza

La sua vicenda, peraltro, lo avvicina alla parabola dei troiani protagonisti del poema epico. Entrambe le parti, infatti, sono attori di una storia che si origina a partire da una colpa originaria: la costruzione della vacca di legno per parte di Dedalo, l’unione tra Paride ed Elena per Troia. A questa colpa segue una dura punizione, che prevede la perdita, rispettivamente, del figlio e della propria patria. A concludere questo circolo vizioso di sofferenza è, infine, la trasmigrazione in un’altra terra.

La figura di Dedalo nell’Eneide, dunque, concentra in sé l’intera vicenda di Enea e dei suoi compagni troiani. Entrambi sono costretti ad affrontare un destino particolarmente duro, segnato da numerose perdite. Ciononostante, i loro percorsi di vita, pur attanagliati da pericoli e difficoltà, li portano all’acme della loro gloria. Dedalo, infatti, si consacra nella costellazione dei grandi artisti antichi, al punto da essere ricordato ancora oggi nello studio dell’arte greca nel cosiddetto stile dedalico (risalente al VII secolo a.C. circa). Per Enea, invece, c’è ben poco da dire: egli si consacra come precursore della gloria di Roma.

Il mito, in entrambi i casi, mostra un paradigma di comportamento, in senso positivo o negativo. Ma, più semplicemente, presenta una vicenda umana, in tutti i suoi aspetti di luminosità e oscurità. Nel caso di Dedalo, ci troviamo di fronte a un uomo che si vede costretto ad affrontare una tra le perdite più dolorose. La sua sofferenza, però, non rimane rinchiusa nell’animo dell’uomo, ma diventa uno spunto per la realizzazione di una meravigliosa opera d’arte. Questa, d’altronde, è la legge dell’arte: da una grande emozione nasce e si sviluppa una manifestazione artistica. Da un profondo tormento interiore, o da un’incontenibile gioia, nascono dei capolavori che elevano e rendono eterne le passioni dell’essere umano.

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