Ghetto di Roma, 16 ottobre 1943: l’inizio di una tragedia
Ghetto di Roma, 16 ottobre 1943: l’inizio di una tragedia

Ghetto di Roma, 16 ottobre 1943: l’inizio di una tragedia

Ghetto di Roma – Photo by Frederick Wallace on Unsplash

Per continuare la riflessione sulla Shoah, abbiamo pensato di ricordare il rastrellamento che si tenne nel ghetto di Roma. Si tratta di un terribile momento della storia italiana; pur non coincidendo con il Giorno della memoria, è un evento che scaturisce dal medesimo contesto storico. Peraltro, il 16 ottobre del 1943 è divenuto l’emblema della difficile situazione in cui versava il nostro paese in epoca nazifascista. Da un lato, infatti, troviamo i tedeschi e i loro collaboratori, dediti a una persecuzione a dir poco barbara; dall’altro, invece, gli italiani che, nel silenzio, hanno fatto prevalere il loro senso morale sulla paura e hanno permesso la salvezza di innocenti.

Il ricatto e l’inizio del rastrellamento nel ghetto di Roma

Il nostro racconto inizia da Herbert Kappler. Quest’uomo era un colonnello delle SS, responsabile delle forze armate di stanza a Roma. Verso la fine di settembre, egli ricevette da Berlino un preciso ordine: procedere alla cattura e alla deportazione di tutti gli ebrei romani, senza distinzione, servendosi dell’effetto sorpresa.

Prima di attuare gli ordini dei superiori, Kappler ingannò la comunità del ghetto di Roma. Promise, infatti, di risparmiare tutti quanti, a condizione che la comunità raccogliesse, nel giro di un giorno e mezzo, cinquanta chili d’oro. Si innescò subito un potente sistema di solidarietà tra i romani, ebrei e non: moltissime persone si misero in coda per donare oggetti preziosi, gioielli, ma non soldi. I tedeschi, infatti, non se ne facevano nulla delle lire italiane. Fu possibile, così, raggiungere l’obiettivo: sommando tutte le donazioni, si superò addirittura la quota richiesta.

Kappler inviò i chili d’oro in Germania, perché fossero destinati alle necessità del Reich. Poi, programmò il rastrellamento, che decise si sarebbe tenuto sabato 16 ottobre, sotto il comando di Theodor Dannecker; per questo motivo, il giorno del rastrellamento è noto anche come “Sabato nero“. L’operazione, in realtà, interessò anche altre zone della città, ma fu soprattutto nel ghetto di Roma che si concentrarono le razzie e le ricerche dei tedeschi.

Verso le quattro del mattino, per assicurarsi di catturare il maggior numero possibile di ebrei, i tedeschi scatenarono una sparatoria. La popolazione, infatti, al frastuono provocato dalle armi da fuoco, si rinchiuse nelle proprie case, intenzionata a non uscire per nessun motivo.

Verso le cinque e mezza del mattino i tedeschi iniziano a entrare nelle case. Ad avvertire i residenti è Letizia, detta l’Occhialona. La donna lanciò il primo grido di allarme: “I mamonni!” che, in giudaico-romanesco, equivale al nostro “sbirri”. Alcuni non le credono, altri fanno in tempo a fuggire o sono già fuori casa per lavorare.

Storie di vittime e sopravissuti

I tedeschi entrano nelle case in maniera disordinata. Lasciano un biglietto, dove sono riportate poche, semplici istruzioni.

Insieme con la vostra famiglia e con gli altri ebrei appartenenti alla casa sarete trasferiti. Bisogna portare con sé viveri per almeno otto giorni; tessere annonarie; carta d’identità; bicchieri. Si può portare via: valigetta con effetti personali; danaro e gioielli. Chiudere a chiave l’appartamento […]. Ammalati, anche casi gravissimi, non possono per nessun motivo rimanere indietro. Un’infermeria si trova nel campo. Venti minuti dopo la presentazione di questo biglietto la famiglia deve essere pronta per la partenza.

NANDO TAGLIACOZZO

L’azione dei tedeschi è imprecisa. Proprio questa loro imprecisione permette la salvezza di alcune persone: tra loro Nando Tagliacozzo. La sua famiglia è divisa da una tragica fatalità: lui è in casa con i genitori, mentre la sorella era con la nonna, in un appartamento accanto. I tedeschi entrarono solo in casa della nonna, prendendo l’anziana signora e la nipote. Le due moriranno nel campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau; Nando, invece, si salva assieme ai genitori.

ATTILIO LATTES

Fuori dalle case, dove le camionette si riempivano progressivamente di deportati, persone ebree e non si mescolavano nei vicoli del ghetto di Roma. Alcuni ebrei riuscirono a salvarsi allontanandosi dalla zona, anche attraverso vie sconosciute. Attilio Lattes, ad esempio, si salvò fuggendo attraverso un tunnel che si nascondeva dietro un poster fascista inneggiante alla superiorità della razza ariana.

EMANUELE DI PORTO

Emanuele di Porto, invece, era finito anche lui sulla camionetta assieme alla madre, che aveva rincorso disperato nel vedere che i tedeschi la stavano portando via. La donna, con una spinta, riesce a farlo scendere, decretando proprio la sua salvezza. Emanuele, ancora bambino, si rifugia per due giorni all’interno di un tram, dove mangia grazie alla solidarietà dei tramvieri che gli offrono parte del proprio pasto.

Le pietre d’inciampo come monito per i posteri

In realtà, il rastrellamento attuato da Dannecker venne considerato un fallimento agli occhi del regime nazista. Furono catturati, infatti, “solo” 1259 persone, a fronte dell’obiettivo di 8000. I tedeschi rinchiusero i prigionieri nel Collegio Militare di Palazzo Salviati. Poi, lunedì 18 ottobre, partì dalla stazione Tiburtina un convoglio destinato ad Auschwitz, da cui torneranno, al termine della guerra, solo sedici persone.

Al termine del rastrellamento, nel ghetto di Roma dominava un silenzio di morte. Si era concluso, qui, un periodo di vita serena, mentre si era aperto, per i deportati, un percorso di estrema sofferenza, che li condurrà a lottare per la vita. La tremenda morte in cui incorse la maggior parte di loro, però, non è motivo per dimenticare o archiviare quanto accaduto, anzi.

Un artista tedesco, Gunter Demnig, elaborò a Colonia, nel 1992, un progetto per lasciare in ogni città una traccia di quanto accaduto. Proprio grazie a lui nacquero le cosiddette pietre d’inciampo, diffuse in varie città d’Europa, che riportano il nome di ogni persona vittima dell’eccidio nazista. Noi abbiamo deciso di riportare alcuni nomi tra quelli presenti nelle pietre d’inciampo installate presso il ghetto di Roma. Nell’augurio che il solo accenno a queste vite spezzate in maniera terribile possa riportarci ancora una volta alla mente quanto è accaduto, in modo da acquisire consapevolezza sul nostro dovere di testimoniare e raccontare: la società del futuro, quella che speriamo di costruire, possa così costruirsi sulla memoria di ciò che è accaduto e non deve mai più ripetersi.

  • Grazia Ajò, nata a Roma il 12 ottobre 1917. Deportata assieme al marito, Mario di Veroli, e alla figlia di appena due anni, Emma. Nessuno dei tre sopravvisse.
  • Letizia Terracina, nata ad Albano Laziale il 14 marzo 1900. Deportata assieme alle due figlie: Camilla, di 18 anni, e Clelia, appena quindicenne. Anche loro perirono nel campo di Auschwitz.
  • Enrica di Segni, nata a Roma il 27 maggio 1925. Venne deportata col marito, Giacomo Terracina.
  • Cesirà Calò, nata a Roma il 3 dicembre 1925. Con lei furono catturati il padre Eugenio e la madre, Cesira.
  • Piero Veneziani, deportato con la moglie Margherita, il padre Pellegrino, le sorelle Wanda e Lea e il figlio, Guido, di soli 9 anni.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *